lunedì 19 novembre 2012

Alive

"Eppure è quando sei circondato dalla gelida indifferenza del mondo che le emozioni ti fanno sentire vivo, anche se profondamente solo. Quei momenti in cui ti si spezza il cuore pensando alle sciarpe mai messe o ai libri mai letti possono farti capire, meglio dell'indifferenza di una madre morta da anni, cosa significhi davvero essere vivi."

6 commenti:

  1. io mi emoziono anche solo per un sorriso di una persona sconosciuta incontrata per strada, l'indifferenza mi gela invece e vigliaccamente non penso mai ai libri mai letti, covo la segreta speranza che prima o poi li leggerò

    smile

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  2. Ci sono sì dei momenti in cui ti senti vivo, altri no perchè sei solo


    ps. anche per le previsioni meteo c'è del losco.

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  3. Quindi? Sono solo le emozioni dolorose o tristi che ti danno il senso della vita? Forse in questo momento sono troppo superficiale per capire. E non riesco a capacitarmi che l'indifferenza del mondo possa darmi altro che un profondo senso di solitudine.

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  4. Cari tutti, non so se riesco a spiegarvelo.
    Sto leggendo, insieme ad altri sette od otto - incluso quello di Nicola! :D - The vanishers, un volumetto di questa Heidi nonsoché che viene classificato come "thriller astrale" e che mi ha incuriosito, talchè, più pensando a svagarmici che ad altro, l'ho comperato sabato scorso.
    Invece altro che svago.
    Qui, sconfinando in una narrazione alquanto eccentrica da fiaba horror al confine tra psicologia e parapsicologia, si racconta della storia di una ragazza che al suo primo mese di vita è rimasta orfana di madre, la quale si è suicidata. Costei vive dunque sulla sua pelle l'irrisolta ferita dell'abbandono. E scoprirà, ormai adulta, che è impossibile eludere il dolore che questa mancanza le ha cagionato. E l'odio per sua madre, legittimo e naturale, da lei mai coscientemente avvertito. E, in certo qual modo, il legame psichico che sua madre continua ad avere con lei, quasi avesse paura di venir soppiantata dalla sua femminilità, da quell'odio soprattutto alimentato.
    Ad un certo punto, dopo aver cambiato città, malferma e malata per quello che crede una sorta di malocchio lanciatole da una delle professoresse del corso di Parapsicologia ch'ella frequentava, si trova sola, a New York, ad una conferenza per persone che hanno perso un familiare che, prima di andarsene, ha lasciato un filmato d'addio. Guarda la gente, così estranea a lei, e al contempo così sofferente. E fa una riflessione che culmina nella conclusione che ho trascritto.
    Non so, a me è sembrato che desse voce al mio esatto modo di provare emozioni. Scrutare i volti delle persone, e percepire dietro le loro fronti le medesime vibrazioni di dolore che riscontro dentro di me. E provare estraneità ed empatia insieme, amore e dolore, distacco e coinvolgimento, serenità e inquietudine.
    Copio qua appresso tutta l'ultima parte del capitoletto, così magari forse si capisce di più.

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  5. "Le persone che affollavano la stanza avanzarono ondeggiando verso l'uscita. Mi ritrovai così schiacciata contro il muro, urtata da zainetti e borse a tracolla. Mi lasciai trascinare dalla calca lungo il corridoio, fin dentro l'ascensore, e la sensazione collettiva di rassicurante vicinanza parve calcificarsi sotto la luce più intensa e indagatrice del neon. Attraversammo come un'unica massa la hall dell'albergo, fermandoci davanti alla porta girevole per srotolare furtivamente le sciarpe appallottolate dentro le maniche dei cappotti, oppure per estrarre i guanti dai cappelli, come se fossimo appena usciti da una stanza in cui avevamo consumato un rapporto clandestino, dopo il quale ogni gesto, per quanto innocuo, risulta venato d'imbarazzo e di rimorso.
    Le mie ginocchia iniziarono a lamentarsi. Cercai un posto in cui sedermi ma tutti i divani e le poltrone erano occupate da gente in lacrime. Chiusi gli occhi e cercai di ignorare il tremolio abbagliante che mi pungeva le palpebre. Anch'io in preda all'imbarazzo, o al rimorso. Ero sull'orlo del baratro. Forse era colpa degli spintoni involontari che avevo ricevuto (che mi fecero tornare alla mente le manipolazioni di alcuni dei fisioterapisti da cui mi ero recata, i quali, tramite le loro mani gelide e i movimenti rapidi come coltellate, mi avevano comunicato che ero soltanto una bugiarda patologica, una che prosciugava la loro buona volontà, che li obbligava a guardare in faccia i loro limiti come terapeuti). O forse era colpa di quel che aveva detto la donna in lacrime, a proposito dei libri trascurati nelle biblioteche, perché davvero non c'era niente di più triste al mondo (tranne forse i regali fatti a maglia dagli amici, espressamente per te, tipo sciarpa o poncho, cose che, per quanto ti impegni, proprio non ce la fai a indossare). Eppure è quando sei circondato dalla gelida indifferenza del mondo che le emozioni ti fanno sentire vivo, anche se profondamente solo. Quei momenti in cui ti si spezza il cuore pensando alle sciarpe mai messe o ai libri mai letti possono farti capire, meglio dell'indifferenza di una madre morta da anni, cosa significhi davvero essere vivi."

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  6. Ecco si, ora ho capito meglio. In effetti sia il tuo commento che tutta l'ultima parte chiariscono il concetto, non tanto razionalmente, ma emotivamente. Sento come un'ondata di dolore "viva" che sale da quegli occhi chiusi in un volto sofferente e in totale solitudine nella folla che lo circonda.
    E' bellissimo questo pezzetto, però mi fa rimescolare l'anima. Che non è la condizione migliore per poter dormire questa notte.
    Vabbeh, almeno siamo vivi.

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